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CD-DVD General List

 

CD/DVD LIMEN MUSIC www.limenmusic.com

 

 

FRÉDÉRIC CHOPIN

Integrale delle opere pianistiche / Complete Piano Works

 

Volume 1

 

Nocturnes op. 9

Préludes op. 28

Valses op. 34

Fantaisie op. 49

Quatrième Ballade op. 52

Polonaise Fantaisie op. 61

 

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La Recensione Radio RSI2

07-10-2015, R. Corrent,  A. Menichetti

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RSI Interview 2017 R. Corrent

PODCAST - MP3

CD 1: 24 Préludes op. 28

1. C major: Agitato

2. A minor: Lento

3. G major: Vivace

4. E minor: Largo

5. D major: Allegro molto

6. B minor: Lento assai

7. A major: Andantino

8. F-sharp minor: Molto agitato

9. E major: Largo

10. C-sharp minor: Allegro molto

11. B major: Vivace

12. G-sharp minor: Presto

13. F-sharp major: Lento

14. E-flat minor: Allegro

15. D-flat major: Sostenuto

16. B-flat minor: Presto con fuoco

17. A-flat major: Allegretto

18. F minor: Allegro molto

19. E-flat major: Vivace

20. C minor: Largo

21. B-flat major: Cantabile

22. G minor: Molto agitato

23. F major: Moderato

24. D minor: Allegro appassionato

Rai Radio3 Interview about

"Life in Palmyra, Life for

Palmyra" Meeting in

Warsaw with Chopin Recital

by Letizia Michielon

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Rai Radio3 - Presentazione

(V. Lo Surdo) 11/4/2017

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AMADEUS Review Dec 2016

Claudia Abbiati

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La Repubblica Mag 2017

Dino Villatico

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CD2

Trois Nocturnes op. 9

1. I- B-flat minor: Larghetto

2. II- E-flat major: Andante

3. III- B major: Allegretto

 

Trois Valses op. 34

4. I- A-flat major: Vivace

5. II- A minor: Lento

6. III- F major: Vivace

7. Fantaisie in F minor op. 49

8. Ballade n. 4 in F minor op. 52

9. Polonaise –Fantaisie in A-flat major op. 61

 

 

Presentazione

 

English translation below

 

 

I dwell in possibility -

 

Tell all the Truth but tell it slant -

Di’ tutta la verità ma dilla obliqua -

(E. Dickinson, 1129)

 

Oggi ho finito la Fantasia - e il cielo è bello, il cuore è triste – ma non importa.

Vorrei che fosse altrimenti, forse la mia esistenza non è servita a nessuno.

Occultiamoci nell’oltretomba.

(F. Chopin, lettera a Julian Fontana, Nohant, 20 ottobre 1841)

 

Vita e Morte s’intrecciano nel microcosmo chopiniano formando una polarità inscindibile che si svela nella sua potenza folgorante grazie a inclinazioni di luce trasversali, evocate, inafferrabili nella loro delicata mobilità come la poesia suadente di Emily Dickinson. «Chopin propone, suppone, insinua, seduce, persuade; quasi mai afferma», osserva Gide, e come accade con la Dickinson, «noi ascoltiamo tanto meglio il suo pensiero, quanto più esso si fa reticente». Nella sua monografia Liszt sottolinea la riservatezza e «il tedio quasi scandalizzato dinanzi all’impudicizia  di ciò che non lasciava nulla da penetrare, nulla da capire al di là» che caratterizzano l’indole chopiniana. Lo stesso compositore, in una lettera a Franchomme del 14 settembre 1833, confida: «Porta nell’anima ciò che ti falcia e corrode, ma che nessuno te lo legga in volto».

Fulcro di questo mondo poetico, il cui apporto romantico viene mediato da una forte componente classicistica, è rappresentato dal dualismo Eros-Thanatos, attorno a cui si ramificano i temi fondanti della Weltanschauung chopiniana, alcuni dei quali straordinariamente affini a quelli scandagliati dalla Dickinson.

La vena tragica di un nichilismo corrosivo, dai tratti novecenteschi, cui si associano spleen e angoscia esistenziale, come conferma anche Delacroix nel suo Diario, s’intrecciano all’attrazione per le zone più oscure dell’anima, racchiuse nelle soglie liminari che scivolano sul confine tra conscio e inconscio, ascoltate nel rispetto sacrale dell’individualità considerata un tesoro irripetibile.

Pensieri ed emozioni possono esprimersi attraverso il veicolo delle vibrazioni sonore, nonostante Chopin, nella bozza incompiuta del suo metodo pianistico, concepisca la musica come un «linguaggio indefinito». Particolarmente degna di nota, a tale proposito, in un artista che poco si è dedicato alla speculazione teoretica, si rivela l’analisi percettologica abbozzata in questo trattato pedagogico che racchiude al proprio interno anche i principi fondamentali di una personale filosofia della musica. Vi si trovano riflessioni sull’intuitività della notazione e sul valore simbolico del segno, oltre a osservazioni sulla corrispondenza spaziale e fisica del suono, in relazione alla quantità di vibrazioni, ai rapporti tra le note e alla loro disposizione sulla tastiera.

Leggendo questi frammenti, ove ogni singolo segno musicale diventa portatore di un intrinseco significato, tornano alla mente le parole di Gide secondo il quale la forza evocativa della musica chopiniana risiede nel fatto che il compositore «si lascia guidare e consigliare dalle note», meditando «sul potere espressivo di ognuna di esse».

Un’intensità semantica preservata grazie al valore soteriologico della Memoria, baluardo eretto contro la forza disgregante del Nulla, e incrementata attraverso la capacità trasformatrice dell’immaginazione, in grado di rifondare un sistema ontologico che vacilla nei suoi capisaldi. Grazie all’immaginazione, infatti, la speranza di felicità, sempre perseguita e sognata, si proietta nell’orizzonte infinito dell’utopia, nonostante la quotidiana frequentazione dell’anima con i propri abissi. Al pessimismo contribuiscono uno stringente fatalismo e la debolezza fisica sempre più distruttiva, cui si uniscono, secondo Belotti, disturbi di psicastenia ed episodi di dissociazione schizoide.

Chopin amava definire lo stato di malinconia che lo accompagnava come un suono costante di sottofondo con il termine polacco Zal. Liszt  lo descrive come un «rimpianto inconsolabile per una irrevocabile perdita», ma aggiunge che nel Zal pulsavano anche «il fermento del rancore, la rivolta dei rimproveri, la premeditazione della vendetta, la minaccia implacabile che rugge in fondo al cuore, sia spiando la rivincita, sia alimentandosi di una sterile amarezza».

Emozioni contraddittorie che pulsano in una costellazione sonora dominata dalla dimensione temporale del Klang, ovvero da quella relazione sempre viva e cangiante tra presente-passato-futuro che si riflette nella fluidità del divenire sonoro e nelle sue complesse relazioni strutturali. Il passato ancestrale, in cui la memoria si rifugia per cercare sollievo dal dolore del presente, viene così a confondersi con il futuro, regno del Sogno, divenendo luogo del possibile in cui non brillano risposte definitive ma traiettorie di spazi interiori aperti. Nella linearità del tempo cronologico irrompe dunque la circolarità multidimensionale del tempo psichico, quello «strano spazio» interiore che così bene Chopin descrive nella lettera del luglio 1845 inviata alla famiglia:

 

Sono sempre con un piede da voi e con l’altro nella stanza accanto, dove lavora la Padrona di casa, e assolutamente non mi sento presente a me stesso ma soltanto, come di consueto, in uno strano spazio. Sono di certo espaces imaginaires, ma io non me ne vergogno; esiste da noi un proverbio che dice:«con l’immaginazione andò all’incoronazione»; e io sono perdutamente, un vero mazoviano.

 

Spazi immaginari fluidi, così affini all’illocality e alla difference di cui scrive Emily Dickinson, popolati a volte di visioni colme di orrore, come confessa lo stesso Chopin nella lettera del 9 settembre 1848 a Solange, l’adorata figlia della Sand:

 

Mentre suonavo la mia Sonata in si bemolle a degli amici inglesi, mi è accaduta una strana avventura. Avevo suonato più o meno correttamente l’Allegro e lo Scherzo, e stavo per iniziare la Marcia, quando improvvisamente ho visto sorgere dalla cassa aperta del mio pianoforte le creature maledette che mie erano apparse alla Certosa in una lugubre serata. Ho dovuto uscire un momento per riprendermi, dopo di che ho ripreso senza dire nulla…

 

Il segreto di quest’universo sonoro fluido e cangiante è tutto racchiuso nel rubato, ovvero in quell’inafferrabile e indefinibile ritmo fraseologico, simile al vento invisibile che passa sui prati delle poesie dickinsoniane, tanto ammirato dai contemporanei nello stile esecutivo di Chopin. Liszt ricorda come il modo di suonare del giovane polacco rendesse «in maniera incantevole quella specie di trepidazione commossa, timida o ansante, che prende il cuore allorché si crede in vicinanza di esseri soprannaturali».

Un miracolo reso possibile da una straordinaria delicatezza e dall’ondulare della melodia, «scafo portato sul dorso dell’onda possente» grazie a un tempo sottratto, spezzato, ritmo duttile, aspro e languente a un tempo, vacillante come la fiamma sotto il soffio che l’agita, come le spighe di un campo ondulanti sotto le molli pressioni d’un’aria calda, come le cime degli alberi inclinati di qua e di là dai mutevoli soffi di una brezza pungente».

Belotti ha però opportunamente sottolineato come in Chopin agiscano tre tipi di rubato, mentre Liszt si riferisce sempre solo al primo, quello ritmico, che si realizza quando «una o più note aumentano o diminuiscono il loro valore a favore o a danno di altre».

Istintivamente, su suggestione del bel canto italiano, di cui era fervente ammiratore, Chopin utilizzava anche il rubato melodico, che annotava scrupolosamente per evitare le degenerazioni virtuosistiche. Belotti ne distingue due casi: quando «una nota si scinde in tante più brevi che le girano intorno», oppure quando «l’intervallo tra due note è coperto da un numero molto vario di notine».

Vi è infine un terzo tipo di rubato che adotta «velocità diverse nei diversi periodi di uno stesso movimento secondo lo spirito musicale di singoli passi».

L’originale sintesi di queste caratteristiche esecutive e compositive colpisce anche Schumann, di cui Chopin è ospite nel 1836. Il critico osserva come il pianismo del polacco sappia trasmettere all’ascoltatore la dirompenza di una natura fantastica e ne ammira la leggerezza, il modo vellutato di toccare i tasti, sottolineando il carattere infantile e naturale della persona e del musicista.

Il pudore delicato e la profondità dei sentimenti chopiniani non erano però adatti alle grandi sale da concerto e Chopin prediligeva sprigionare il proprio magnetismo creativo soprattutto durante le riunioni dei salotti intellettuali romantici parigini, formati da un pubblico sceltissimo che il musicista aveva eletto come uditorio privilegiato ove esprimere il proprio talento. A questo contesto, cui partecipavano alcuni degli spiriti più illustri del Romanticismo parigino degli Anni Trenta, da Heine, Delacroix, Meyerbeer, Nourrit, a Hiller, Niemcevicz, Mickiewicz, George Sand e Liszt stesso, Chopin  appariva  come «i convolvoli, ondulanti sovra steli di incredibile finezza i loro calici divinamente colorati, ma di un tessuto così vaporoso che il minimo contatto li lacera».

La raffinatezza dei salotti parigini, cuore intellettuale d’Europa, lo rende partecipe degli orientamenti più innovativi della cultura letteraria e figurativa contemporanea. Particolarmente feconda l’amicizia con Eugène Delacroix, autore di uno dei più celebri ritratti del musicista. Molta eco suscita in Chopin la sua «teoria del riflesso», ideata utilizzando tavolozze che comprendevano fino a ventitré pigmenti, quasi tutti quelli disponibili all’epoca. Il colore non era considerato dal pittore una proprietà dell'oggetto ma il risultato di un gioco di riflessi. Tale sperimentazione, che anticipa le innovazioni degli impressionisti e ricerca l'effetto della luce riverberato da un oggetto su ciò che lo circonda e viceversa, verrà applicata, da Chopin all’interno del linguaggio musicale, come testimonia il Diario di Delacroix.

Profonda influenza esercita sul musicista polacco anche la frequentazione del teatro lirico e Pestelli osserva come in lui si avverta «una prima scissione fra il lavoro, chiuso nel segreto del suo giardino interno, e lo svago, il divertimento, che per Chopin è, appunto, il teatro dell’opera», la cui offerta appare estremamente vivace in una Parigi nel pieno fulgore dell’età rossiniana. Dalla Malibran alla Pasta ascolta e ammira tutti gli interpreti più affermati del teatro d’opera; di Rubini elogia il «mezza voce», della Viardot la capacità creativa.

Il mondo parigino, da parte sua, è ammaliato e corteggia il talento del giovane polacco. Un segno indicativo della fama raggiunta in poco tempo è l’offerta avanzata da Kalkbrenner di entrare a fare parte del suo gruppo di allievi. Ma Chopin è consapevole della propria originalità e sa di non potere appartenere ad alcuna scuola né tantomeno di potere essere plagiato per diventarne portavoce.

Il suo percorso è segnato da altre stelle comete e nella lettera del 14 dicembre 1831 al proprio Maestro Elsner enuncia il proposito «forse troppo ardito ma nobile» di crearsi «un mondo nuovo». «Se lavorerò – precisa- sarà perché voglio stare più solido sulle mie gambe».

Il processo accurato di lima e perfezionismo assoluto nella scrittura, il controllo formale che Chopin si impone con grande autodisciplina - in questo del tutto simile a Emily Dickinson - emergono con chiarezza in una lettera della maturità inviata l’11 ottobre 1846 alla famiglia:

 

Quando si scrive, sembra che tutto vada bene, perché altrimenti non si scriverebbe nulla. Solo più tardi sopravviene la riflessione e si rifiuta o si accetta ciò che si è fatto. Il tempo è la migliore censura, e la pazienza la migliore maestra.

 

Tutto ciò che Chopin prima improvvisa e poi annota viene dato alla stampa solo se approvato da questo severo vaglio critico. In questo tormentato processo interiore, molto simile, secondo Belotti, a quello leopardiano, la prima stesura era costituita da un abbozzo, decodificabile solo dall’autore. Il brano veniva poi redatto in modo più comprensibile completo delle sue parti, e seguiva una bella copia, con un pentagramma libero tra i vari sistemi, onde potere inserire altre eventuali correzioni. La versione finale veniva consegnata all’editore che gli forniva poi le bozze di stampa per ulteriori correzioni.

Belotti osserva come Chopin correggesse soprattutto le bozze dell’edizione francese, inserendo talvolta vistose modifiche rispetto al testo originale ma lasciando purtroppo lapsus calami non rimossi dall’editore.

Meno rigore il compositore lo poneva nella revisione dell’edizione tedesca, che però non si basa su un autografo ma su una copia del manoscritto realizzata da altri, essendo egli refrattario al lavoro di copiatura.

Si spiegano così le discordanze tra le varie edizioni e anche un confronto con l’autografo risulta essere incompleto in quanto Chopin, durante le lezioni ai propri allievi, ulteriormente elabora il testo già dato alle stampe integrandolo con segni di agogica, legature, varianti e modifiche che testimoniano il continuo work in progress e il carattere pulsante, organico di queste opere, in perenne crescita e trasformazione.

La presente incisione - che comprenderà le opere edite ma anche composizioni pubblicate postume – incrocia composizioni appartenenti a periodi diversi, per porne in rilievo l’intima coappartenenza, e utilizza come testo di riferimento la National Chopin Edition curata dalla PVM, considerata attualmente l’edizione più affidabile dal punto di vista filologico in quanto pone a confronto autografi, copie degli allievi e differenti edizioni delle singole composizioni (compresa quella inglese di Wessel & Co.). Un’operazione complessa, ampiamente descritta dal punto di vista metodologico e scientifico dal principale curatore, Jan Ekier, che con l’aiuto di Pawel Kaminski e la consulenza musicologica e pianistica di Jim Samson, Franz Brüggen e Paul Badura Skoda ha realizzato un testo compiuto, indispensabile per potersi avvicinare alla musica chopiniana con  matura consapevolezza e autentica onestà intellettuale.

 

Letizia Michielon

 

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I dwell in possibility -

(E. Dickinson)

 

Tell all the Truth but tell it slant -

(E. Dickinson, 1129)

 

«Today I finished the Fantasy - and the sky is beautiful, a sadness in my heart - but that's all right. If it were otherwise, perhaps my existence would be worth nothing to anyone. Let's hide until death has passed.» (F. Chopin, Letter to Julian Fontana, Nohant, 20 ottobre 1841)

 

In Chopin's microcosm Life and Death are interlaced in an indivisible polarity, whose astonishing strength is revealed by the fleeting rays of a delicate, oblique light, like in the  gentle poetry of Emily Dickinson. «Chopin proposes, supposes, insinuates, seduces, persuades; he rarely affirms», says Gide, and like in E. Dickinson, «the more reticent his thought is, the better we listen to it». In his monograph Liszt highlights in Chopin's character the reserve and «the almost scandalized tediousness towards the impudicity of what offers nothing to be penetrated, nothing to understand beyond.». The composer himself, in a letter to Franchomme of September 14th 1833, confides: «Bear in your soul what kills and consumes you, but don't show it to anyone on your face».  The centre of this poetic world, whose Romantic side is tempered by a strong classicist component, is represented by the dualism Eros-Thanatos, from which spring the basic themes of Chopin's Weltanschauung; some of them present a surprising affinity to those of E. Dickinson. The tragic vein of a nearly twentieth-century corrosive nihilism, together with the spleen and the existential anguish, as confirmed also by Delacroix in his Diary, is matched by the attraction for the dark areas of the soul at the confines between consciousness and unconsciousness, whose exploration is respectful of the individuality as of an unique treasure.

Thoughts and emotions can be expressed through the sound, although Chopin, in the unfinished draft of his Method for Piano, conceives music as «undefined language». It is remarkable, for an artist scarcely inclined to the theoretical reflection, that this pedagogic treatise proposes an analysis of the perception, through which the author defines the basic principles of his own music philosophy. It includes considerations about the intuitiveness of the notation, the symbolic value of the sign, the spatial and physical properties of the sound in connection with the quantity of vibrations, the relations between the notes and their displacement on the keyboard.

These text fragments, in which every musical sign has an inherent meaning, help us to understand Gide's opinion about the source of the evocative force of Chopin's music: «he's guided and advised by the notes themselves», since he meditates «on the expressive power of each of them». This semantic intensity is preserved by the soteriological value of the Memory, defence against the disaggregating force of Nothingness, and increased through a transforming imaginativeness, able to refound a vacillating ontological system. Thanks to the imagination the dream of happiness survives, the hope reaches the horizon of utopia, though his soul's daily attendance of abysses of pessimism, nourished by the fatalism, by the more and more destroying physical weakness, and, according to Belotti's theory, episodes of psychasthenia and schizoid dissociation. Chopin loved to define his melancholy, as a continuous background sound, by the Polish word Zal. Liszt describes it as an «inconsolable regret after an irrevocable loss», but also «a ferment of rancour, revolt full of reproach, premeditated vengeance, menace never ceasing to threaten if retaliation should ever become possible, feeding itself meanwhile with a bitter, if sterile hatred.». Contradictory emotions in a context dominated by the temporal dimension of the Klang, that is the ever-chaining relation between present, past and future, reflected in the fluidity of the sound Becoming and in its complex structures. The ancestral past, in which the memory looks for relief of the present suffering, mingles with the future, realm of Dream, place of the Possible, without certain answers, but offering open inner spaces. The irruption of the circularity of the psychic time in the linearity of the chronological time creates the «strange space» perfectly described by Chopin in the letter to his family of July 1845:

 «I always have one foot at home with You - the other foot in the next room, where the Lady of the house is working - and not in myself at all at this moment - just, as usual, in some strange space. These are doubtless those spaces imaginary - but I am not ashamed of it; why, it is at Your end that the saying has caught on that “out of imagination he went to the coronation”, and I am a truly blind Mazovian

These fluid and imaginary spaces are so similar to the illocality and the difference of Emily Dickinson, sometimes full of horrifying visions, as Chopin himself says in the letter of September 9th 1848 to Solange, the beloved daughter of G. Sand:

 «A strange adventure befell me while I was playing my Sonata in B flat minor before some English friends. I had played the Allegro and the Scherzo more or less correctly. I was about to attack the March when suddenly I saw arising from the body of my piano those cursed creatures, which had appeared to me one lugubrious night at the Chartreuse. I had to leave for one instant to pull myself together after which I continued without saying anything …» 

The secret of his fluid ever-changing musical universe is concealed in the rubato, uncatchable and indefinable phrasing similar to the invisible wind that passes over the Dickinsonian meadows, so admired in Chopin's interpretations by his contemporaries. Liszt says that the playing of the young Polish artist «rendered exquisitely that kind of agitated trepidation, timid or breathless, which seizes the heart when one believes one’s self in the vicinity of supernatural beings». A miracle made possible by an extraordinary delicacy and by the art of making «the melody undulate like a skiff borne on the bosom of a powerful wave» thanks to the «stolen, broken time - a measure at once supple, abrupt, and languid, vacillating like the flame under the breath which agitates it, like the corn in a field swayed by the soft pressure of a warm air, like the top of trees bent hither and thither by a keen breeze.».  Belotti appropriately noted that in Chopin one can find three kinds of rubato - Liszt always refers to the rhythmic rubato, realized when «one or more notes increase or decrease their duration to advantage or disadvantage of others».  Instinctively, under the great fascination of the Italian belcanto, Chopin also uses the melodic rubato, carefully indicated in order to avoid the virtuoso degenerations. Belotti defines two types: when «a note is split into many other shorter notes turning around it», or when «the interval between two notes is covered by a various quantity of grace notes».  The third type of rubato resorts to «different speeds in the different periods of a movement according to the musical spirit of each passage». The original synthesis of these interpretative and compositional features impresses even Schumann, who hosted Chopin in 1836. As a critic, he observes that the pianism of the Polish musician conveys to the listeners the bursting energy of his imaginative nature; he admires the lightness of his touch on the keyboard and the childlike naturalness of the man and of the musician.

Chopin's feelings, so reserved and deep, were unfit for the large concert halls, so that he preferred to express his own talent and to give off the magnetic force of his creativity before his favourite, select audience of the Parisian cultural salons, attended by renowned Romantic personalities of the '30s like Heine, Delacroix, Meyerbeer, Nourrit, Hiller, Niemcevicz, Mickiewicz, George Sand and Liszt himself, to whom Chopin appeared like a «convolvulus, balancing their gorgeously coloured cups on unbelievable fine stems, but in such a vaporous material that the slightest contact tears them».

The refined Parisian salons, intellectual heart of Europe, allow Chopin to get involved in the most innovative trends of literature and fine arts. The friendship with Eugène Delacroix, author of a famous portrait of the musician, is particularly fruitful: Chopin highly appreciates Delacroix's «theory of the reflection», conceived using palettes with up to twenty-three pigments, almost all those available at that moment. The painter did not consider the colour as a property of the objects, but a combination of reflections. This experimentation, herald of Impressionism, that aims to obtain light effects as reciprocal reverberations between an object and what surrounds it, finds musical applications in Chopin's language, as testified by Delacroix's Diary. Concerning the important influence of the opera, Pestelli notes «a splitting between the secret work in his inner garden and the entertainment represented by the opera»: the operatic offer was extremely rich in Paris at the apex of the Rossinian age. Chopin listens with admiration to the most famous singers, like Malibran or Pasta, appreciating Rubini's «mezza voce» and Viardot's creativity. In his turn the young Polish talent fascinates the Parisian world: Kalkbrenner proposes him to join his group of students, but Chopin is conscious of his own originality, he can't be a member nor a subjugated testimonial of any school. His route is marked by other references: in the letter of December 14th 1831 to his teacher Elsner he speaks about a «lofty, albeit perhaps too bold, desire and thought: to create for myself a new world...», and he adds «if I am going to work, it is so that I may stand on feet that are stronger for this idea.». The continuous process of refinement of his writing and the rigid self-discipline in the formal control (these aspects are shared with Emily Dickinson) clearly emerge in a late letter of October 11th 1846 to the family:

 «When one writes all seems good, otherwise nothing could be written. Only afterwards reflection comes, and rejects or accepts what has been written. Time is the best censor and patience the most excellent teacher.»

All improvisations and annotations are approved only after this severe critical screen. This hard inner process, that Belotti considers very similar to that of G. Leopardi, consists of different phases: firstly the piece is written as a sketch, decipherable only by the author; a more understandable and complete draft follows, then a fair copy with an empty staff among the systems for possible modifications. Finally the publisher receives the definitive version and gives it back to him as press proof for further rectifications. Belotti observes that Chopin's most careful corrections concern the drafts of the French edition, in which he sometimes inserts very remarkable modifications of the original text, but, unfortunately, he omits to control the lapsus calami not noticed by the publisher. Less rigorous is the revision of the German edition, which is based not on an autograph but on manuscripts made by others, given his reluctance to do copy work.  That explains the discordances between the editions; even the comparison with the autograph is not so useful, because Chopin, during the lessons to his students, further changes texts that are already printed, adding agogic and legato signs, variations that show the continuous work in progress and the character of living organisms of these ever-growing pieces. For this recordings, which include edited and posthumous compositions, and mix pieces of different periods to emphasize their common traits, the reference text is the National Chopin Edition by PVM, currently considered as the most reliable philological edition, which compares autographs, copies of the pupils and different sources, included Wessel & Co's English Edition. A very difficult operation, described with full methodological and scientific details by the main editor Jan Ekier, who, helped by Pawel Kaminski, and having recourse to the musicological and pianistic advice of Jim Samson, Franz Brüggen and Paul Badura Skoda, realized a quite complete text, indispensable for the musicians who want to approach Chopin's music with full awareness and intellectual honesty.

 

Letizia Michielon

(translation: Fabio Grasso)